Studenti fuori sede: le coinquiline

Sarà che in questo periodo mi lascio andare spesso alla nostalgia, sarà che pensando al liceo il capitolo successivo nel mio archivio è inevitabilmente l'esperienza universitaria, sarà che a Giugno mi verrà data l'ultima possibilità di porre sulla mia torta un numero preceduto dal 3, ma mi è venuto un irrefrenabile desiderio di raccontarvi le mie coinquiline del periodo catanese.
Vi ho già parlato delle merende poliglotte allargate a vari ed eventuali (parenti, amici, colleghi universitari) ma questo non basta a descrivere cosa significhi condividere un appartamento con altre cinque ragazze, sconosciute, di età e provenienza diversa e iscritte in facoltà lontanissime (in tutti i sensi) dalla mia.
Probabilmente per una legge del contrappasso, a me che per fare onore al liceo classico ho sempre odiato la matematica e le materie ad essa affini, che dopo l'ultima interrogazione di fisica della mia carriera liceale avevo festeggiato gettando il libro dal secondo piano, è capitata la seguente popolazione "domestica":
-  tre studentesse della facoltà di Fisica
- una iscritta in Economia e Commercio;
- una laureanda in Giurisprudenza (alla quale sono poi subentrate, alternandosi,  altre econome).
Ognuna di noi, ovviamente, era dotata di una personalità che a volte combaciava, altre si scontrava perfettamente con quella delle altre: la golosissima che avrebbe mangiato pane e nutella a colazione pranzo e cena, la salutista che faceva spuntini a base di carote e zucca cruda, la determinata che modulava i suoi stati di sonno e di veglia in base ai movimenti del sistema solare, la figlia di tutti che usciva di casa per cinque minuti e tornava a notte fonda (senza avvisare) e infine io,  mamma irreversibile già da allora, pur essendo cronologicamente (e non solo!) la più piccola.
Sempre in funzione della legge del contrappasso, i legami più forti che ho instaurato sono stati quelli con due delle studentesse di Fisica: astronomica una e ambientale l'altra, hanno reso le mie ansie e le mie solitudini più facili da sopportare.
L'astrofisica, regolata col fuso orario delle galline, amava alzarsi presto, preferibilmente per studiare e, per diretta conseguenza, crollava inevitabilmente al calare del crepuscolo.
Nonostante fosse consapevole della sua incredibile capacità di addormentarsi anche in mezzo al caos e al baccano, insisteva a restare nella nostra stanza che, essendo la più grande, era diventata automaticamente la sala TV per tutte. La sua presenza, piacevole per carità, diventava insostenibile nel caso in cui tutte le altre, persone normali, cercavamo di seguire il film o la fiction di turno.
Incapace di mantenersi sveglia per tutta la durata della trasmissione, riemergeva periodicamente dai suoi cedimenti narcolettici pretendendo, con domande continue, che le spiegassimo cosa fosse successo, chi fosse questo o quel personaggio a lei ovviamente sconosciuto e perchè l'altro non fosse più presente. Inutile dire che in questo modo rendeva la visione del film pressochè impossibile. Abituata poi a pensare alla propria vita in maniera del tutto individuale, salvo includervi il rigorosissimo fidanzato, diventato parente acquisito anche per noi, una mattina ci ha raccontato con un certo turbamento di aver fatto uno strano sogno: diventata madre, aveva chiuso le finestre del balcone dimenticando fuori il povero bambino per un tempo imprecisato. Al momento, giusto per rassicurare telefono azzurro e servizi sociali, è madre di un bambino di cinque anni e di una piccola di un anno e, a quanto ne so io, nessuno di loro è mai stato abbandonato fuori dal balcone.
La sua stanza era collocata di fronte alla nostra, cosa che le consentiva di accenderci e spegnerci improvvisamente la luce grazie all'interruttore posto fuori dalla porta, simpatica abitudine che aveva trasmesso anche alle altre coinquiline, che ci lasciavano al buio nel bel mezzo di una complicata pagina di Filosofia teoretica o di Analisi matematica.
Quest'ultima ha lasciato tracce indelebili nella mia memoria, poichè ha dato molto filo da torcere alla mia compagna di stanza, al punto che alla fine dell'esame ci sentivamo tutte quasi laureate.
Iscritta in fisica ambientale, era capace di mangiare dolci come se non ci fosse un domani e come se non esistesse altra forma di cibo commestibile, ma ha approfittato degli anni universitari (spesso simili alla dura formazione militare) per imparare che l'alimentazione può essere variata e che dire non mi piace prima di assaggiare è inutile e controproducente. Adesso è madre anche lei di due bambini, quindi si trova costretta a considerare cibo anche materie prime che le erano ostili e sconosciute.
Solare e allegra come una bimba senza filtri e inibizioni, era capace di svegliare tutti intonando a gran voce "Amore ritorna, le colline sono in fiore!", proseguendo con un inedito e personalissimo riarrangiamento di testo e melodia della canzone di Mogol. Per combattere il freddo dei mesi invernali, accentuato dall'assoluta mancanza di riscadamento, da una parete in compensato, e da una finestra che più che spifferi portava  dentro cicloni di aria fredda, spesso univamo le forze e i piumoni accostando i nostri letti, nei quali tentavamo di dormire senza mai riuscirci fino in fondo. Invidiando infinitamente l'astrofisica che già contava le stelle da almeno un paio d'ore, combattevamo costantemente con la nostra insonnia che diventava, sistematicamente e irrimediabilmente, contagiosa.
Nonostante la lontananza da casa non fosse eccessiva, e molte di noi rientravano per il week end, nei giorni di convivenza ognuno di noi diventava un punto di riferimento per le altre, con cui ridere fino a non riuscire più a proferire parola, piangere e consolarsi con una camomilla al limone, accompagnarsi ad esami protratti anche fino a tarda sera.
Per una studentessa fuori sede, le coinquiline costituiscono una sorta di  famiglia parallela. Con loro puoi permetterti di litigare e fare pace, allontarti senza mai dimenticare.
Non vi nego che darei qualsiasi cosa per rivivere anche solo un giorno di quegli anni, per riprovare la soddisfazione di aver portato una cassa di acqua per quattro piani di scale faticosissime, per ridere infinitamente a causa di un rotolo di carta igienica volata da un bagno all'altro centrando, spesso, anche il water, o per rileggere le papere con cui, senza pudore e senza ritegno, avevamo riempito un cartellone posto esattamente di fronte all'ingresso. Un modo come un altro, questo, per dire a chiunque entrasse: «In questa casa nessuno è perfetto, ma ce la spassiamo alla grande!».


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