Cara Scuola



 

Cara Scuola,




Scusa se mi permetto di darti del tu ma ci conosciamo ormai da circa quarant’anni.

Sono la piccola biondina logorroica che ha sempre amato tantissimo studiare, probabilmente perché mi forniva contenuti nuovi di cui parlare. Non so se ti ricordi, ma ho frequentato il Liceo Classico, di cui ancora ricordo con piacere croci e delizie, e ho proseguito i miei studi laureandomi in Scienze dell’Educazione.

Stasera sono qui come madre di Luca, 15 anni, e Sara, 13 anni.

Luca frequenta il secondo anno del Liceo Classico, mentre Sara a breve affronterà gli esami di terza media, per poi intraprendere una nuova avventura nel mondo dell’arte.

La scelta di Luca è stata quasi obbligata: pensatore pericolosamente filosofico già a due anni, è stato sempre appassionato di lettura e incline alla comunicazione senza limiti, logorroico come la madre, insomma.

Sara, invece, ha preso dal papà. Ha sempre amato

vivere a colori e rappresentare il mondo in quello che a lei piace definire “il suo stile”. Ha maturato la sua passione per il disegno anche grazie a te, agli stimoli che le hai dato e all’insegnante di arte che è riuscita a fare emergere il suo talento ogni giorno di più.

Prima di farti delle richieste, dunque, voglio ringraziarti a nome mio e di Samuele, mio marito, per il tuo essere nostra alleata e complice nell’arduo compito di accompagnare i ragazzi nel mondo. Ti ringrazio perché contribuisci alla costruzione del loro modo di essere, stimolando le loro potenzialità e spingendoli a fabbricare cassetti pieni di sogni da realizzare. Ti ringrazio perché sei per loro, ogni giorno, palestra di socialità.

Ti ringrazio perché sei fatica, ma anche soddisfazione, impegno, ma anche risultati.

So a cosa stai pensando: “sta addolcendo la pillola perché il sapore delle richieste avrà anche un retrogusto amaro”.

Mi piacerebbe dirti che ti sbagli, ma devo invece darti ragione.

Per il lavoro che faccio ti osservo ogni giorno da vicino e questo mi consente di apprezzare ancora di più le tue qualità ma anche, ahimé, di constatare che tu hai ancora tanta strada da fare.

Il lavoro di pedagogista all’interno dell’équipe scolastica, infatti, mi offre un punto di osservazione privilegiato perché mi consente di vivere dentro il tuo mondo ma in una posizione intermedia: tra te e le famiglie, tra te e il territorio, tra i docenti e gli studenti.

Per questo spero che tu possa accogliere le mie parole non come delle accuse, ma come dei suggerimenti da parte di una madre che vuole il meglio per i propri figli e per tutti i ragazzi e le ragazze che sono, un po’, anche figli tuoi.

Per loro ti chiedo di vivere a colori, come mia figlia: offri ai tuoi alunni e alle tue alunne tinte forti per accendere la loro curiosità ma anche tinte pastello che regalino momenti di serenità e di svago. Ripensa quindi ai tuoi programmi, chiediti cosa possa essere rivisto e cosa invece messo da parte, impara a rinunciare alla quantità per privilegiare la qualità. Ricordati sempre che la noia spegne la motivazione ed è un grande repellente per l’apprendimento. Metti da parte il superfluo per consolidare quelle fondamenta su cui dovranno costruire gli apprendimenti futuri.

Come diceva Oscar Wilde “La scuola dovrebbe essere un luogo bellissimo; così bello che i bambini disobbedienti, per punizione, il giorno dopo dovrebbero essere chiusi fuori dalla scuola.”

Ti chiedo di non dimenticare che dietro ogni studente c’è una persona: mettiti in ascolto del suo vissuto e offri tempo per le sue passioni e per i suoi affetti; presta attenzione al calendario e ricordati che “Domenica” e “vacanza” sono sinonimi di “riposo”.

Ti chiedo di rispettare il patto di alleanza e corresponsabilità con le famiglie e di fare in modo che sia da loro rispettato. Continua a pretendere che i genitori facciano i genitori: educare è, prima di tutto, una loro responsabilità che non ammette deleghe.

Allo stesso modo, però, ti chiedo di pretendere che i docenti facciano i docenti: istruire è, prima di tutto, una loro responsabilità, che non ammette deleghe. Ti considero una buona intenditrice, quindi mi fermo a queste poche parole su questo argomento.


Ti chiedo di continuare a gridare a gran voce l’importanza dell’inclusione, ma anche di fermarti un po’ a riflettere su cosa significhi, realmente, includere.

Significa, prima di tutto, differenziare per non frustrare chi sarebbe costretto a forzare porte chiuse e non ostacolare chi, invece, quelle porte le ha già aperte.

Significa dotarti di personale aggiuntivo e di spazi attrezzati e adeguati alle esigenze di tutti.

Significa supportare i docenti in ogni modo, creando una rete territoriale che si faccia carico dei loro bisogni e dei bisogni dei ragazzi e delle loro famiglie.

Significa affrontare, concretamente, il fenomeno della dispersione, ricordandosi che non basta riportare gli studenti tra i banchi: bisogna dare loro motivi per tornare, ragioni radicate nel loro presente ma anche prospettive per il loro futuro.

Per questo concludo facendoti un’ultima, grande, richiesta, cara scuola.

Stringi buoni rapporti con il mondo del lavoro, perché possa accoglierli senza ostacoli e senza discriminazioni di alcun tipo affinché ciò che trasmetti loro oggi possa diventare fonte di indipendenza domani.


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