Toy Story nuoce gravemente alla salute delle mamme
Vittoria.
Primi anni '90.
Una ragazzina, appena entrata nel mondo adolescenziale, desiderosa di essere considerata grande, ma incapace ancora di accettare la propria crescita fino in fondo, sta tornando a casa, probabilmente da una delle sue prime passeggiate con le amiche.
Nei pressi del proprio condominio una scoperta sconvolgente, che la colpisce come un fulmine che si scaglia su un albero nonostante il cielo scevro di nuvole, come un treno che arriva dal nulla e fa sussultare, come un palo della luce in cui sbatti giurando su qualsiasi cosa che prima, quel palo, non c'era.
Nel cassonetto, abbandonato insieme ad altri cimeli della propria fanciullezza, la ragazzina scorge un pezzo del proprio cuore, un compagno di giochi che le ha concesso di vivere un'infanzia più gioiosa: il proprio Cicciobello.
La sfuriata che segue dopo, rivolta alla madre, colpevole del reato di abbandono, ve la risparmio...
Vittoria.
Ventisette anni dopo.
Quella ragazzina, ormai madre da quasi nove anni, ha imparato a comprendere la povera donna che in passato le aveva strappato dal cuore quei cimeli poichè, oltre ogni sua aspettativa, nutre quotidianamente istinti distruttivi nei confronti di giochi, costruzioni, giornaletti e quant'altro sparso in ogni angolo della propria casa e spesso destinato a finire nel mostruoso tubo aspiratutto.
In più di un'occasione, il grande sacco nero temutissimo dai piccoli di casa, le si è materializzato in mano, avvicinandosi pericolosamente a oggetti di vario tipo collocati nel posto sbagliato o troppo vecchi per essere usati ma troppo cari per essere eliminati.
Se avesse ascoltato ogni volta quell'istinto primordiale di eliminare ogni elemento fuori posto, in questo momento la sua casa sarebbe più libera, più spaziosa, più ordinata. Quello che dovrebbe essere il suo studio sarebbe occupato da libri, cancelleria e documenti, piuttosto che da resti scomposti di vecchi giocattoli.
E lo avrebbe fatto...
... se nel 1995, un gruppo di diaboloci sceneggiatori della Pixar (Joss Whedon, Andrew Stanton, Joel Cohen, Alec Sokolow) diretti magistralmente dall'altrettanto diabolico John Lasseter, non avvessero dato il via a una delle saghe più riuscite dell'animazione statunitense, nata ufficialmente per divertire i più piccoli, ma certamente mirata a condizionare, subdolamente, il cervello delle povere mamme.
Immagino che in questo momento molti stiano pensando ad una ingiustificata esagerazione.
Rispondete allora sinceramente alla mia domanda (mi rivolgo soprattutto alle mamme, preferibilmente casalignhe): chi di voi, dopo aver visto i primi tre cartoni della serie di Toy Story, non ha avuto rimorsi e sensi di colpa lancinanti ogni volta che ha desiderato eliminare, buttare o regalare un giochino dei propri figli?
Chi di voi potrebbe affermare di non avere riposto pezzi ormai inutili di vecchi giocattoli in un contenitore o su una scaffale, pensando al vecchio Wheezy, il pinguino di gomma destinato al mercatino delle pulci e salvato, a costo della propria stessa vita, dal fedelissimo amico Woody?
Quanti di voi non hanno iniziato a provare attaccamento nei confronti di bamboline e pupazzi che vivono tra le mani dei propri figli, come se fossero realmente dotati di un'anima?
Io, lo confesso, sono una delle vittime dell'operazione di ipnosi di massa innescata da Lasseter e dalla sua allegra compagnia.
Ogni volta che tento di sfogare il mio istinto da ruspa spazza tutto, penso alle volte in cui Luca o Sara hanno riso e si sono divertiti grazie a quel pezzo di plastica o di stoffa, immagino il giocattolo trasformarsi, indossando il pietoso labbruccio implorante tipico di Sara, e mi abbandono a sentimentalismi che deviano la mia mano toycida, dal sacco nero all'ennesimo contenitore per giocattoli.
Non so se la mia sindrome da Toy Story sia molto grave e non oso immaginare quanto possa peggiorare dopo l'uscita del quarto episodio, previsto a quanto pare per il 2019.
Nel frattempo, rassegnata alla mia incapacità di reagire, continuo a raccogliere, sistemare, smistare e minacciare eliminazioni che mai avverranno.
L'unica mia salvezza sono i contenitori che costruisco da me riciclando scatoli d'imballaggio... ma di questo, magari, vi racconto nel prossimo post.
Toy Story lo adoro, è una storia bellissima e mai mi sognerei di disfarmi di quelli che sono stati e che saranno i loro giochi storici ma in casa nostra credimi circola troppa plastica, oltre ogni limite e allora a parte quelli che sono nelle condizioni per essere donati, il resto quando faccio ordine, va a finire nel sacco nero e senza sensi di colpa se non quelli di averli comprati. Il fatto che loro nemmeno se ne rendano conto, la dice lunga...soprattutto sulla sciocchezza di noi adulti che li compriamo e glieli regaliamo.
RispondiEliminaPienamente d'accordo con te! Troppi giocattoli e troppa plastica. Per fortune la mia sindrome da Toy Story non è ad uno stadio terminale, e spesso riesco a impormi sulla mia stessa volontà buttando il superfluo e quello che ormai è diventato davvero un intralcio e nient'altro.
EliminaMa i miei figli, a differenza dei tuoi, non so come facciano davvero, sono in grado di intercettare ogni assenza, anche la più piccola.
Grazie per il tuo commento!
Buona giornata!